Chiesa di “S. Ignazio all’olivella”

Carissimi,
il vangelo odierno, tratto dal vangelo secondo Marco (10, 17-27) ci presenta un “tale” che ha sempre vissuto per uno scopo: avere la vita eterna. Egli di sicuro aveva ascoltato tante spiegazioni della Parola di Dio fatte dai rabbini o dai sacerdoti del Tempio. Egli si mostra come uno scrupoloso conoscitore della Legge, ma pare che tutto questo non gli basta. Egli percepisce in Gesù, che chiama “maestro buono”, la novità che il suo cuore cerca, l’acqua che finalmente potrà estinguere la sua sete, ecco perché si premura di correre verso Gesù e bloccarlo.
Gesù principalmente rimanda alla bontà del Padre, principio e fondamento della sua vita e, di conseguenza, della vita di ogni suo discepolo. Egli indica a “questo tale” i comandamenti come via di salvezza, anche se non li elenca tutti ma solo gli ultimi sette, cioè dal quarto al decimo, ossia quelli riguardanti il rapporto con il prossimo. Per avere la vita eterna bisogna essere amore e lo sguardo concreto dell’amore è la carità verso il prossimo. Questo tale allora mostra al “maestro buono” la sua identità: egli è un giudeo osservante, infatti ha sempre osservato i comandamenti sin dalla sua giovinezza.
Ecco è lì che Gesù gli fa un grande dono: gli rivolge il suo sguardo amoroso e misericordioso, lo chiama alla sua sequela ed affinché essa sia duratura, Gesù gli chiede di fare un taglio netto con la sua vita: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri”. In questa esortazione Gesù ha concentrato i primi tre comandamenti, quelli che riguardano il rapporto con Dio. In quel momento lo sguardo di Gesù aveva raggiunto il cuore di “questo tale”, aveva illuminato la sua coscienza, ma purtroppo non riesce a distoglierlo dal “dovere” di conservare la sua grande ricchezza. “Questo tale” cercava la vita eterna, ma non aveva fatto i conti con se stesso: fino a che punto si fidava di Dio? Fino a che punto Dio era l’Assoluto nella sua vita? Così se ne andrà triste e rinuncia all’offerta fattagli da Gesù; “questo tale” non avrà un nome né un’identità.
Solo chi ama vive in eterno nel cuore di Dio, come nella memoria degli uomini.
Questo sguardo amoroso e compassionevole, che ha sete dell’amore dell’uomo, si rivolge verso gli Apostoli. Subito gli Apostoli sentendosi scossi dal fallimento di questo “Tale” e dalla successiva affermazione di Gesù, secondo cui è difficile entrare nel Regno dei cieli, si sentono perduti. Gesù nella sua risposta evidenzia che la salvezza è dono di Dio, non si “compra” solo con le nostre opere, ma si ottiene con la fede, con l’abbandono all’Onnipotente a cui nulla è impossibile.
Questo sguardo di Cristo continuamente si posa su ogni uomo e solo chi ha il coraggio di accoglierlo nel proprio cuore può essere da esso trasformato, così è successo san Filippo Neri.
Filippo, o “Pippo buono”, come era amabilmente chiamato in famiglia, sin dalla sua fanciullezza è stato accarezzato da questo sguardo, mostrandosi sempre buono ed altruista.
Quando compie 17 anni, decide di lasciare la sua Firenze, per trasferirsi a Cassino, da suo zio, per andare a lavorare. Lì non smette di cercare la vita eterna e di contemplare il volto di Cristo, si metterà sotto la sapiente guida del monaco Eusebio da Evoli, che risiedeva nell’Abbazia benedettina, sita a Cassino. Ma non gli basta. Si recherà a Roma, che sarà la sua seconda patria, lì avverrà la vera chiamata, lì rimarrà per sessant’anni, tanto da essere chiamato “l’apostolo di Roma”.
La chiamata di San Filippo avviene nella Pentecoste del 1544 nelle Catacombe di S. Sebastiano, luogo dove spesso andava a pregare ed è lì che lo Spirito Santo gli appare in forma di globo di fuoco e gli riscalda il cuore, che trasforma anche fisicamente: Lo Spirito di Verità sarà la sua luce per sempre. Filippo colpito nello Spirito dallo sguardo di Cristo, non se ne andrà triste, anzi consegna interamente se stesso al suo progetto di salvezza e di redenzione. Salvezza che porterà molte anime al Signore, sarà “cesellatore di anime”. Filippo ha saputo abbandonarsi a Colui che chiedeva il suo si, senza sapere verso dove. Filippo non sarà mai un santo triste, anzi sarà il santo della gioia. La gioia infatti viene da un animo redento e libero, la gioia è la più bella manifestazione di Dio in una coscienza. Ecco allora la gloria di Dio nella vita di S. Filippo.
S. Filippo, come ogni cristiano, è stato rigenerato dalla risurrezione di Cristo, attraverso il battesimo, per una speranza viva, per una eredità eterna, come ci ricorda la prima lettura tratta dalla prima Lettera di S. Pietro apostolo.
Era a tutti noto il continuo cercare e contemplare il Cielo da parte di S. Filippo. Egli era così pieno di Cielo nella sua coscienza che tutto era vanità di fronte al Cielo, o meglio, di fronte al Paradiso. Tutto nel cristiano, per Filippo, doveva profumare di Paradiso, S. Filippo a tutto lui preferiva il Paradiso. Persino quando Papa Gregorio XIII lo voleva eleggere Cardinale e gli invia il cappello cardinalizio, S. Filippo preferisce che ci giochino i ragazzi dell’Oratorio, perché anche questo per lui era vanità, lui preferiva il Paradiso.
Certo nella vita di S. Filippo non sono mancate le prove e le tribolazioni, il Paradiso non è per i pigri e i pusillanimi. Era “l’eredità eterna e la speranza viva” che teneva il suo entusiasmo sempre vivo. Gioia ed entusiasmo che lo porterà a creare un metodo di pastorale innovativo per quei tempi che non solo formò coscienze illuminate nella Chiesa, ma anche tanti giovani furono salvati dalla sua contagiosa gioia e conquistati all’amore di Dio. “Oratorio”, miei cari, non è solo un luogo, ma anche un metodo. Era cioè basato sulla orazione o preghiera mentale o interiore condotta in fraterna comunione, ascolto di un buon esempio tratto dalla Storia della Chiesa o dai santi Padri, conversazioni spirituali, ascolto di buona musica ed attività ricreative ed infine la proposta di una buona opera. Contemplazione e misericordia della formazione offerta dal Neri erano un binomio inscindibile.
Anche su noi oggi si posa lo sguardo amoroso di Gesù, anche noi oggi ci sentiamo abbracciati da questo amore crocifisso e risorto. Su noi splende oggi il fulgido esempio di S. Filippo Neri, non offuscato da questo mezzo millennio che ci separa da lui, e conquistati anche dal suo esempio saremo innamorati della santità, per mezzo di cui ogni istituzione è riformata.
La Vergine Santissima, “Vergine Madre e Madre Vergine” come amabilmente la invocava il nostro caro S. Filippo Neri, ci accompagni nel nostro pellegrinaggio terreno affinché nella gioia e innamorati di Gesù raggiungiamo la méta della nostra fede: la salvezza delle nostre anime e di tutti quei fratelli e sorelle che incontreremo nel nostro cammino.
Amen